Corpo | Primario
testo critico di Rossella Della Vecchia
Corpo / Primario è un titolo insolito se riferito a una mostra incentrata sulla carta come medium. Tuttavia, questo titolo è già di per sé una dichiarazione di intenti che, nella lettura curatoriale di pratiche processuali dall’aura algoritmica, ripensa in ottica dialogica le ricerche degli artisti Massimiliano Amati e Daniele Zonta. Si tratta di una bipersonale che determina una rigenerazione cognitiva della materia cartacea attraverso l’elaborazione di insoliti codici algoritmici, che le attribuiscono uno spazio d’intervento focale. Così, parallelamente alle attuali applicazioni dell’Intelligenza Artificiale, anche per questo medium tradizionale emergono nuove possibilità espressive nel campo dell’arte.

Non più considerata un mero supporto, ma vero e proprio soggetto dell’opera, la carta si fa materia scultorea o, simbolicamente, corpo da plasmare. In tal senso, essa si trasforma potenzialmente in un corpo inciso, scavato, “scarnificato”: una superficie di sperimentazione riconducibile alle attuali ricerche processuali di Amati e Zonta che, seppur diverse, si rivelano comunque complementari nell’approccio concettuale al medium, qui risignificato da forme espressive primarie.

È questa la definizione di un processo algoritmico subordinato ad una serie reiterata di gesti, codificati tanto in ambito umano quanto in quello “non umano”. Si configura così un’inedita grammatica di rovine semantiche e biologiche della carta che, a partire da ciò che le è stato materialmente sottratto, va a connotare un nuovo ordine estetico, maturato entro logiche di decostruzione. Ecco che uno spazio, solitamente considerato come in attesa di essere riempito, viene ora svuotato, catalizzando una speculazione sul paradigma del segno come mappa e del gesto come traccia.
Un interludio materico e concettuale che, nel progetto espositivo pensato per gli spazi della Galleria 291 EST, promuove una fruizione contemplativa delle opere selezionate. A completare l’esperienza, interviene la mediazione visiva del concept video realizzato da Vania Caruso, che invita a entrare in dialogo anche con la dimensione performativa delle sottese pratiche processuali. Ed è così che la decodifica del gesto si ripete nel loop di un atto condiviso di metamorfosi, attraverso il quale diventa possibile sfiorare idealmente il tempo che ne abita la materia.
MASSIMILIANO AMATI
(Locorotondo, 1979)
Laureatosi in Architettura, ha poi conseguito un Dottorato di Ricerca con la tesi – pubblicata da Quodlibet – dal titolo: Tempo e racconto nei processi creativi. Da diversi anni la sua ricerca artistica si sviluppa dinamicamente attraverso il disegno, l’incisione, il libro d’artista, l’installazione e la performance, con un interesse crescente per l’arte pubblica e partecipata. Contestualmente, ha preso parte a residenze d’artista e ha esposto in numerose mostre personali e collettive, sia in gallerie che in spazi non convenzionali, spesso coinvolgendo attivamente le comunità locali nei suoi progetti.
In mostra propone alcune opere, articolate per nuclei tematici, nate da una ricerca processuale avviata nel 2023, attraverso la quale ibrida la materia del passato con le istanze del presente. Qui, il medium cartaceo viene ridefinito da una logica prossima a quella algoritmica, anche se declinata in chiave analogica. Un processo minuzioso e stratificato che si compie nell’uso di un bisturi chirurgico – precisa interfaccia tra l’artista e il supporto – con cui egli interviene nell’upcycling di vecchi volumi: un oggetto già dato, riformulato per estetica ed esegesi in un’opera inedita. Riletto come medium scultoreo, ogni libro d’artista si carica quindi di una densità tattile che ne sfida le apparenti fragilità: una sorta di reliquia, in cui la meticolosità del gesto ne evidenzia la stratificazione temporale. Ed è così che questi volumi vengono rigenerati da rilievi e cavità visive che delineano nuove connessioni narrative ed iconiche tra le pagine. Corpi cartacei che Amati trasfigura in ideali cartografie a rilievo: l’atto finale di una chirurgia semiotica, che incide e frammenta testi ed immagini in un’espressione alternata di pieni e vuoti, capaci di ridefinire – nella coscienza collettiva – la geografia morfologica del presente.
DANIELE ZONTA
(Bassano del Grappa, 1987)
Dopo gli studi in Architettura a Venezia, si trasferisce prima a Roma e poi a Rotterdam, dove attualmente vive e lavora. Pur con una solida esperienza nel campo dell’architettura, maturata attraverso collaborazioni con studi internazionali come lo Studio Fuksas e il MVRDV, dal 2023 si dedica esclusivamente alla pratica artistica, portando avanti una ricerca focalizzata sugli sviluppi formali e concettuali dell’astrazione. Le sue opere sono state esposte in Italia e nei Paesi Bassi, anche in forma di “galleria errante” durante Art Rotterdam 2021. In mostra presenta otto lavori tratti dalla serie Crickets, introducendo un algoritmo aperto, concepito come matrice aleatoria di variabili biologiche. Un protocollo generativo inscritto in una riflessione contemporanea sull’arte come forma di espressione primaria, in cui l’artista (umano) assume il ruolo di deus ex machina, delegando parte della produzione dell’opera a un organismo vivente. Qui, l’imprevedibilità dell’operato animale asseconda un istinto primario, chiamato ad intervenire in un ambiente controllato. Ed è così che entra in gioco un algoritmo biologico, attivato dall’inaspettato coinvolgimento co-autoriale di ignari grilli campestri, che divorano i fogli di wafer paper appositamente disposti per loro. Il risultato è quello di una carta erosa che, alternandosi a produzioni arricchite da inserti in foglia d’oro o d’argento, restituisce formalmente una serie di eterogenee composizioni astratte. In tale prospettiva, Zonta incornicia ed espone le mappe organiche di un processo biologico, cristallizzato nella manifestazione spazio-temporale – e spesso anche sonora – di un sotteso agire famelico.un racconto visivo, un invito a esplorare le intersezioni tra memoria, identità e percezione.
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